Impero



La scena mondiale geopolitica sta muovendosi rapidamente. Il fattore di accelerazione è la… decelerazione della globalizzazione, perlomeno come era stata servita in Occidente. Il problema di fondo è la grande difficoltà di una ulteriore espansione dell'Impero americano, insieme alla Cina, impegnata a sua volta in una profonda trasformazione interna, che preme per una svolta. L’egemonia globale americana si fonda su due principi essenziali per la propria sopravvivenza: il dollaro come valuta di riserva mondiale e la potenza militare.
Trump, che è la conseguenza di un processo (e di rigetto) di decadenza, rappresenta una svolta per quanto riguarda le politiche interne, ma per quel che riguarda la politica estera, a parte un approccio (forse) meno folle rispetto alla “benevolente egemonia globale” dei neocon, non può però essere davvero stravolta nelle sue linee guida generali, che prevedono il mantenimento della preminenza strategica e ideologica degli Stati Uniti nel mondo.
In questo, il potenziale militare e la guerra/bene rifugio, sembra stia rimanendo l’unica carta che Washington possa giocarsi per mantenere il proprio primato.
Stiamo comunque pur sempre parlando di un impero, che vede il Paese (inteso come nazione) in decadenza, ma con la sua élite, che al contrario, non è mai stata più ricca e potente come adesso. Si preferisce un impero, anche se quella non è la migliore scelta in assoluto, se questo rimane una alternativa più accettabile rispetto all'anarchia e al caos.
Ma se invece è lo stesso impero ad essere il caos?
Inoltre, rispetto alla fine del sistema di Bretton Woods e della convertibilità oro-dollaro che gli USA non potevano più sostenere, allorquando riuscirono comunque a conservare l'egemonia globale (insieme a tutti i benefici che essa comporta) solo grazie all'insufficiente sviluppo economico e alla subalternità dei suoi antagonisti (Europa in primis), adesso la situazione è potenzialmente ben diversa. La sconfitta dello Stato Islamico ad opera dei russi e dei loro alleati siriano/sciiti, insieme alla situazione che si è creata sul terreno, non piace né a Washington, né a Londra e a Parigi, figuriamoci a Tel Aviv.
E se gli Stati Uniti per la prima volta in tempi unipolari si sono trovati a far fronte a un qualcosa cui non erano mai stati impegnati a gestire, ovvero a un reale contrappeso di forze; allo stesso tempo, chi aspira a sostituirsi agli USA, non potrà solo produrre e risparmiare, come fanno ad esempio i cinesi. Questo perché il centro di un impero, oltre ad esercitare la supremazia tecnologica, militare, economica e mediatica, deve essere un luogo di consumo di beni e servizi.
Ed in questo senso, pur tenendo conto della lungimiranza cinese, il dominio americano non sarà facile da scalzare in tempi brevi.




Introduzione

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B: Ma non ci si può esprimere appunto producendo e consumando e basta?
A: Abbiamo già detto che la civiltà industriale è stercoraria, cioè che il suo fine non può non essere l'escremento. Ora che cosa fa l'uomo defecando? Si esprime, forse?
B: No, non direi. Si alleggerisce, semmai.
A: Giusto, si alleggerisce. Cioè, si mette in condizione di consumare di nuovo. Quest'alleggerimento, appunto, è l'atto della defecazione. Ma si dà il caso che l'uomo produca e consumi troppo, ossia si prenda un'indigestione. Allora abbiamo la purga. Cioè la guerra. Nel ciclo produzione-consumo, la guerra sembra indispensabile e inevitabile per evitare le costipazioni periodiche della società produttrice e consumatrice. Durante la guerra, infatti, il consumatore normale del tempo di pace è sostituito dal soldato, cioè da un consumatore eccezionale per intensità, quantità, rapidità e varietà. Si consuma in guerra in un giorno più di quanto si consuma in un anno in tempo di pace. Da ultimo, il soldato, non contento di consumare beni e ricchezze, consuma vite umane, prima di tutto quelle dei suoi nemici poi la propria. Sì, perché non bisogna dimenticare che il produttore-consumatore per essere davvero tale, deve anche e soprattutto essere prolifico e dunque omicida. Senza sovrapopolazione niente produzione in serie, senza produzione in serie niente sovraproduzione e senza sovraproduzione niente guerra. L'omicidio non è che l'altra faccia della prolificità.

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Alberto Moravia, “La Rivoluzione Culturale in Cina – ovvero il Convitato di pietra”


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Se ne parla poco dell'Impero, nelle testate mainstream i servi detti “giornalisti” fingono da sempre che gli Usa siano un Paese tra tanti, diciamo “amico” anzi il più grande “amico” che ci protegge dalle minacce là fuori nel buio ( informativo, quindi immaginario, figurativo ) oltre lo steccato.

Ma parlare dell'Impero e dei suoi meccanismi è, altrettanto, parlare di noi stessi.
Il tema dei testi che riporto è Impero e Consumo : a quello di Stanis Vlad [ 1 ] ho allegato uno stralcio sapido e pertinente, dalla raccolta di corrispondenze e riflessioni sul fenomeno cinese ( e su di noi da questa parte ) scritte da Alberto Moravia e pubblicate la prima volta nel 1967 – la copia che ho tra le mani è una recente edizione tascabile Bompiani ( € 10,00 ).

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