Sul ceto medio semi-colto e il genocidio culturale europeo


Ricercando le origini della formazione del ceto medio semikolto (Cmsk), cioè quel ceto di una «certa kual kultura», ricerchiamo l’origine dell’attuale spappolamento delle facoltà mentali delle popolazioni «occidentali». Nel caso in particolare parleremo di quella italiana, il cui degrado mentale è particolarmente accentuato, ma non credo molto di più rispetto alla popolazione degli altri paesi europei, per non dire di quella statunitense dove in questo momento impazza, nel verso senso della parola, lo zombismo.
Gennaro Scala


1

Consiglio la lettura di questo testo di Gennaro Scala [ 1 ] e pubblicato sul suo blog Pensare senza schemi [ 2 ], che mi è arrivato attraverso la comune amica-FB Nadia Nikita Daskalova [ 3 ] : “Origini del ceto medio semicolto ” [ 4 ];

esso tratta dell'ascesa e del tramonto del ceto medio semicolto anzi semikolto ( cmsk ) nella penisola italiana ( e non solo ) dal '68 in poi, come prodotto degenere del fenomeno sessantottino nel “capitalismo manageriale” americano installato nell'Europa Occidentale ( e non solo ) dopo la Seconda Guerra Mondiale;
essi sono i sinistri e i liberali cui il Sistema ha regalato una scrivania per toglierli dalle piazze ( tipicamente impiegati nel terziario, nell'istruzione, nell'informazione, e in vari apparati pubblici, a crescere esponenzialmente il bubbone detto Burocrazia ) che, spocchiosi di una “superiorità” morale, intellettuale ... etc. ... non dimostrata, declamano impettiti i “valori” pre-impostati con frasi ad effetto imparate a memoria, a sostegno della globalizzazione disegnata dal Grande Capitale.

2

La creazione del cmsk è da collegare, più esplicitamente, al genocidio culturale europeo attuato nel secondo dopoguerra :


Sempre più mi convinco che certo "marxismo" (diverso dalla teoria marxiana) passato nel senso comune (a dispetto del fatto che il marxismo come ideologia non lo segue quasi più nessuno), come la concezione secondo cui l'economia sarebbe il settore decisivo da considerare nella comprensione dei fenomeni sociali, è una mistificazione dei fatti decisivi. Ad es. se consideriamo la società statunitense come una forma di capitalismo derivato dal capitalismo europeo ci si nasconde il fatto che con il crollo definitivo del sistema europeo, in seguito alla seconda guerra mondiale, abbiamo l'affermarsi di una civiltà di fatto diversa da quella europea (seppur con questa imparentata), anche le forme economiche dell'impresa, il ruolo dello stato sono diverse, ma soprattutto si tratta complessivamente di una civiltà diversa, di un universo culturale diverso che si afferma nella stessa Europa, e che sostituisce quello precedente. Giustamente Pasolini, parlava di "genocidio culturale" in merito all'affermazione in Italia della "società di massa" nel dopoguerra.
Gennaro Scala


3


 

Pier Paolo Pasolini parla delle città e della civiltà dei consumi in “Pasolini e la forma della città” ( 1974 ) a cura di Paolo Brunatto [ 5 , 6 ].

Ora invece succede il contrario : il regime è un regime democratico – eccetera eccetera – però quella acculturazione, quella omologazione che il fascismo non è riuscito assolutamente a ottenere, il Potere di oggi, cioè il Potere della civiltà dei consumi invece riesce a ottenere perfettamente, distruggendo le varie realtà particolari, togliendo realtà ai vari modi di essere uomini che l'Italia ha prodotto in modo storicamente molto differenziato.
E allora, questa acculturazione sta distruggendo in realtà l'Italia; e allora io posso dire senz'altro che il vero fascismo è questo potere della civiltà dei consumi che sta distruggendo l'Italia;
e questa cosa è avvenuta talmente rapidamente che in fondo non ce ne siamo resi conto, è avvenuto tutto in questi ultimi 5, 6, 7 ... 10 anni : è stata una specie di incubo, in cui abbiamo visto l'Italia intorno a noi distruggersi e sparire, e adesso risvegliandoci, forse, da quest'incubo e guardandoci intorno, ci accorgiamo che non c'è più niente da fare.

Pier Paolo Pasolini


Più drastico è Pasolini – citato poco sopra da G. S. – che in questo documentario della metà degli anni '70 precorre i tempi della critica diffusa, percependo e accusando la devastazione omologatrice eseguita nella cosiddetta “civiltà dei consumi” sulle persone;
egli non ha più alcuna speranza sulla riparazione di questo atto distruttivo ( “ci accorgiamo che non c'è più niente da fare” ).

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