Camminando per Bologna ...
Cerco la salvezza che scende allo zenith e m'acceca, come il protagonista de "Lo straniero" di Camus ... la squallida periferia ch'è dentro il centro storico (anch'esso derubricato a contenitore dei rifiuti urbani e umani) e che ha il limite a sud tracciato in linea perfettamente retta da via Irnerio - via dei Mille - via Don Minzoni (con generosa aggiunta di distruzione dell'ex-corso Roma - oggi via Marconi - da parte dei bombardieri inglesi nella seconda guerra) e si sdraia in leggero declivio ma con pesantezza urbana fino al semicerchio della cinta muraria (quel che ne resta, una bocca sdentata con molti vuoti) che ha la chiave di volta nelle stazioni della ferrovia e delle corriere : asfalto incandescente come un forno e grigi scatoloni di cemento anni '70 che distonano con l'area storica nella quale architetti pazzi ed assessori consenzienti li hanno calati, lo stesso fetore della città algerina nella cui culla l'eroe esistenzialista si dimena, la stessa sensazione di soffocamento avvolto da un immaginario lenzuolo bagnato e stretto attorno al mio corpo come un sudario.
La differenza è l'umidità di questa maledetta città che m'ammorba fino al midollo delle ossa e mi trascina - o almeno ci prova - nel suo squallore, il suo essere niente : perennemente incinta di scrittori noir ed in genere di artisti veri o sedicenti in tutte le arti gridate e recitate ... solo un cesso per il transito di questa fugace vita che affluirà generosa in un'altra, un cesso dove cagare (possibilmente con regolarità) e lasciare un segno che sarebbe già una bella impresa : a ognuno la sua tecnica, qui in una laterale di via del Borgo un writer - anch'egli in palese disagio esistenziale - ha lasciato questo inquietante graffito (o "graffio") che lascio alla vostra visione.
La vicinanza con il negozio di fumetti "Alessandro Distribuzioni" che frequentavamo prima ancòra di diventare amici, m'ispira una telefonata fugace al Mega per soppesare quanta responsabilità vi sia oggi nelle nostre "vite da adulti", ma la responsabilità serve davvero ? Lui è chiavato con doppio lucchetto - moglie più figlia - ma la sua personalità artistica e quindi un tanto anarchica fa poi a cazzotti con le istituzioni che sono la famiglia, l'azienda di lavoro, la comunità ... eppoi ingoia perchè è un bravo ragazzo, lo siamo tutti e alla fine portiamo il nostro mattone nella casa comune o nel muro ? Immagino sopra l'impalcatura due rubizzi, panciuti e non più giovani architetti ed al contempo impresari che sono litigiosamente in affanno a dirigire con due voci differenti il cantiere edile della costruzione sociale ... solo che ultimamente quello con la barba che sbraita "il muro ! Dobbiamo costruire il muro !" mi sembra avere la meglio.
Nausea. Vomito.
Con tutti che mi guardano come un pazzo e talvolta con accondiscendente ammirazione (come si deve ai matti, ovviamente) quando alzo "leggermente" la voce al banco della mescita perchè sono un tantino irascibile (negli ultimi tempi) e minaccio pure di andarmene per i cazzi miei ma non voglio il paradiso terrestre, piuttosto dico che un altrove è doveroso trovarlo ... ognuno di noi ha un "altrove" da realizzare, in continuo ma onesto movimento. Lo aveva "sentito" - più che capito - Jean Giraud prima d'affrontare la "déviation" che lo portò a diventare Moebius e nulla ci sarebbe stato dato se non avesse avuto il candore d'animo necessario per essere immediatamente sporcato da questa società sudicia e disperata.
Sono al limite della mia capacità di sopportazione di questa città oscura anche oggi che il sole la brucia, con i suoi canali soffocati dalle strade carrabili asfaltate che puzzano e le sue storie smorzate in gola da un assassino terribile e senza volto ... escrementi di cane e rifiuti lasciati qua e là, solo il guizzo di un gatto bastardo che s'inerpica su per un muro e la grondaia sfidando la legge di gravità m'allieta con lo spettacolo di qualcosa più vivo di me e di lei.
Più di questo non riesco per il momento a scrivere, mia cara zitè ... (1 - segue)
Cerco la salvezza che scende allo zenith e m'acceca, come il protagonista de "Lo straniero" di Camus ... la squallida periferia ch'è dentro il centro storico (anch'esso derubricato a contenitore dei rifiuti urbani e umani) e che ha il limite a sud tracciato in linea perfettamente retta da via Irnerio - via dei Mille - via Don Minzoni (con generosa aggiunta di distruzione dell'ex-corso Roma - oggi via Marconi - da parte dei bombardieri inglesi nella seconda guerra) e si sdraia in leggero declivio ma con pesantezza urbana fino al semicerchio della cinta muraria (quel che ne resta, una bocca sdentata con molti vuoti) che ha la chiave di volta nelle stazioni della ferrovia e delle corriere : asfalto incandescente come un forno e grigi scatoloni di cemento anni '70 che distonano con l'area storica nella quale architetti pazzi ed assessori consenzienti li hanno calati, lo stesso fetore della città algerina nella cui culla l'eroe esistenzialista si dimena, la stessa sensazione di soffocamento avvolto da un immaginario lenzuolo bagnato e stretto attorno al mio corpo come un sudario.
La differenza è l'umidità di questa maledetta città che m'ammorba fino al midollo delle ossa e mi trascina - o almeno ci prova - nel suo squallore, il suo essere niente : perennemente incinta di scrittori noir ed in genere di artisti veri o sedicenti in tutte le arti gridate e recitate ... solo un cesso per il transito di questa fugace vita che affluirà generosa in un'altra, un cesso dove cagare (possibilmente con regolarità) e lasciare un segno che sarebbe già una bella impresa : a ognuno la sua tecnica, qui in una laterale di via del Borgo un writer - anch'egli in palese disagio esistenziale - ha lasciato questo inquietante graffito (o "graffio") che lascio alla vostra visione.
La vicinanza con il negozio di fumetti "Alessandro Distribuzioni" che frequentavamo prima ancòra di diventare amici, m'ispira una telefonata fugace al Mega per soppesare quanta responsabilità vi sia oggi nelle nostre "vite da adulti", ma la responsabilità serve davvero ? Lui è chiavato con doppio lucchetto - moglie più figlia - ma la sua personalità artistica e quindi un tanto anarchica fa poi a cazzotti con le istituzioni che sono la famiglia, l'azienda di lavoro, la comunità ... eppoi ingoia perchè è un bravo ragazzo, lo siamo tutti e alla fine portiamo il nostro mattone nella casa comune o nel muro ? Immagino sopra l'impalcatura due rubizzi, panciuti e non più giovani architetti ed al contempo impresari che sono litigiosamente in affanno a dirigire con due voci differenti il cantiere edile della costruzione sociale ... solo che ultimamente quello con la barba che sbraita "il muro ! Dobbiamo costruire il muro !" mi sembra avere la meglio.
Nausea. Vomito.
Con tutti che mi guardano come un pazzo e talvolta con accondiscendente ammirazione (come si deve ai matti, ovviamente) quando alzo "leggermente" la voce al banco della mescita perchè sono un tantino irascibile (negli ultimi tempi) e minaccio pure di andarmene per i cazzi miei ma non voglio il paradiso terrestre, piuttosto dico che un altrove è doveroso trovarlo ... ognuno di noi ha un "altrove" da realizzare, in continuo ma onesto movimento. Lo aveva "sentito" - più che capito - Jean Giraud prima d'affrontare la "déviation" che lo portò a diventare Moebius e nulla ci sarebbe stato dato se non avesse avuto il candore d'animo necessario per essere immediatamente sporcato da questa società sudicia e disperata.
Sono al limite della mia capacità di sopportazione di questa città oscura anche oggi che il sole la brucia, con i suoi canali soffocati dalle strade carrabili asfaltate che puzzano e le sue storie smorzate in gola da un assassino terribile e senza volto ... escrementi di cane e rifiuti lasciati qua e là, solo il guizzo di un gatto bastardo che s'inerpica su per un muro e la grondaia sfidando la legge di gravità m'allieta con lo spettacolo di qualcosa più vivo di me e di lei.
Più di questo non riesco per il momento a scrivere, mia cara zitè ... (1 - segue)
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