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C19/N – Riflessione di Gennaro Scala sulla epidemia e il distanziamento sociale


Covid-19: cosa penso ora

di Gennaro Scala


A inizio marzo sono stato un sostenitore delle misure messe in atto dal nostro governo, come dalla maggioranza dei governi mondiali. Di fronte all'incombere di un'epidemia di proporzioni ignote, anteporre la libertà personale mi sembrava riprovevole, e l'ho anche scritto. Di fronte ad un grave pericolo è ammissibile la sospensione temporanea di alcune libertà civili e politiche qualora siano misure necessarie per fronteggiare questo pericolo, il che è previsto, tra l'altro, dalla nostra stessa Costituzione che cita espressamente in merito l'eventualità di epidemie. Ma nel corso del tempo, con il passare dei mesi da inizio marzo fino ad oggi, ho cambiato idea, fino ad arrivare ad un'idea molto diversa da quella che ho avuto all'inizio di questa vicenda. Credo che la coerenza sia un valore importante, ma essa deve riguardare i nostri valori di fondo, e non l'idea che ci facciamo della realtà, che deve essere in rapporto ai mutamenti che avvengono nella realtà stessa, e deve essere in rapporto a quanto riusciamo a conoscere di essa. Mantenere un giudizio, per “coerenza”, soltanto perché lo si è assunto in un momento dato, è un altro modo per anteporre le proprie esigenze personali rispetto all'interesse collettivo, che impone il più “spassionato” esame della realtà, se vogliamo anche solo sperare di farvi fronte, e quindi impone anche di mutare radicalmente idea, qualora sia necessario.

Ho cambiato idea innanzitutto perché il paventato pericolo non c'è stato. Nel momento in cui scrivo, dopo oltre mezzo anno dalla diffusione del covid-19 i morti nel mondo sono 867.000, poco più dello 0,01% della popolazione mondiale, e in gran parte si tratta di persone anzione con gravi malattie in cui il covid-19 è stato concausa di morte. Non credo di travalicare l'ambito delle mie competenze se dico che possiamo definire il covid-19 come una forma più grave delle epidemie simil-influenzali che si susseguano da un po' di anni e che falcidiano centinaia di migliaia di anziani ogni anno, agendo come concausa di morte. Non nego che ci sia stato un grave problema sanitario, ma non quel pericolo che si paventava e che ha giustificato le gravi misure adottate. Qui si pone un problema terminologico, perché anche nel caso delle influenze stagionali si parla di “epidemie”, principalmente perché si tratta di malattie che si trasmettono da individuo a individuo, ma il pericolo che si paventava era un altro, l'epidemia in senso classico, quella che decima le popolazioni, di cui si conservano svariati ricordi storici, quel tipo di epidemia che suscita terrori atavici, probabilmente sedimentati nell'inconscio collettivo. Se vogliamo avere un'idea di quella che è effettivamente un'epidemia, seppur strisciante, pensiamo al cancro, ognuno di noi può annoverare un parente, un amico, e diversi conoscenti ammalati e morti di cancro. Eppure non vi è allarme in merito, sia perché si tratta di un'epidemia strisciante a cui siamo “abituati”, sia perché le classi dominanti ritengono che non sia necessario suscitare allarme (e resta valido il principio marxiano secondo cui “le idee dominanti sono le idee della classe dominante”), eppure sappiamo che i casi di cancro sono molto probabilmente in correlazione con il sistema di vita moderno, con l'alimentazione, composta da cibo molto artefatto, con l'inquinamento atmosferico, con l'inquinamento elettromagnetico, ma siccome sono tutti fattori che fanno parte del sistema di vita moderno che ha degli indubbi vantaggi, rispetto alla miseria endemica delle epoche precedenti, nessuno lo mette in questione, anche se sarebbe necessaria una riflessione collettiva su un sistema agro-alimentare tutto basato sul principio capitalistico del minimax (massima produzione con minima spesa) che sta diventando sempre più irrazionale, e si potrebbe immaginaree certo un sistema agro-alimentare che producesse cibo di migliore qualità, meno distruttivo per l'ambiente, e che recuperasse posti di lavoro. Ma la discussione in merito ci porterebbe lontano dallo scopo della presente riflessione relativa alla situazione immediatamente attuale innescata dal covid-19.
Non dico che la morìa di anziani sia accettabile, si dovevano e si devonoprendere misure a protezione degli anziani e non da quest'anno, ma invece finora si è continuato a demolire i sistemi sanitari. Ma il pericolo non giustificava la misure prese, messe in questione da autorevoli esponenti del mondo medico-scientifico, le quali hanno gravi conseguenze sociali.

Ciò che autorizza ipotesi diverse è soprattutto il fatto che, dopo aver potuto acclarare la reale natura del pericolo, si continui con la campagna di terrore dei media e che si parli da parte dei governi di misure a lungo termine riguardanti i rapporti interpersonali, l'ambito lavorativo e la scuola. Troppo facile includere in blocco nelle strampalate teorie complottiste chiunque sollevi interrogativi su queste misure. Finora abbiamo ascoltato i pareri disparati di tanti virologi, e qualche filosofo. Credo sia ora di usare qualche nozione di teoria sociale, per la precisione di teoria socio-politica. Presento sinteticamente la mia ipotesi che in seguito provvederò ad articolare, precisando che si tratta per ora di un'ipotesi ma che diventerà un'ipotesi verificata dai fatti qualora le misure di “distanziamento sociale” dovessero continuare in assenza del grave pericolo paventato. Prima però qualche osservazione su tale termine che si è imposto nei media e che troviamo ad es. scritto dappertutto nelle stazioni ferroviare. Si richiede il “distanziamento sociale”, “mantenere il distanziamento sociale” dicono i cartelli. Ora, ciò che precisamente si dovrebbe richiedere è mantenere una certa distanza fisica, invece la distanza sociale è un'altra cosa. Ad es. vi può essere la massima vicinanza fisica unita alla distanza sociale, come nel caso di due “separati in casa” che per vari motivi decidono di non unire la distanza fisica alla distanza sociale, oppure distanza fisica senza distanza sociale, come nel caso di fidanzati, amici, parenti che pur vivendo in diverse città mantengono un rapporto emotivo-comunicativo. Si tratta solo di un utilizzo errato della lingua italiana, da matita rossa? Fa troppo “cultura del sospetto” pensare che si tratti di uno dei casi in cui un “lapsus” rivela le vere intenzioni del comunicante?

Veniamo alla mia ipotesi che è la seguente: il covid-19 ha funzionato da catalizzatore e acceleratore di una crisi di sistema che è in corso da tempo. Una crisi che riguarda sia il “sistema-mondo” (come Wallerstein e altri ritengo che i rapporti tra gli Stati presenti nel mondo formino un sistema, sottoposto ad un continuo e talora repentino mutamento), sia i sistemi socio-politici presenti all'interno di ogni singolo Stato. Com'è senso comune, i rapporti geo-politici sono in crisi da tempo, sono sorte nuove potenze, Cina e non solo, che mettono in discussione la predominanza statunitense, si è parlato di un nuovo “secolo asiatico”. Mentre sul piano intra-nazionale, la “società digitale” è stata una profonda trasformazione, ancora in corso della “società di massa” affermatasi nel dopoguerra nel mondo occidentale, Tale trasformazione ha modificato profondamente il ruolo dei media che è stato molto importante nella gestione del consenso, oggi questi media, per quanto concorrano ancora a formare la “verità ufficiale”, perché non vi sono altri organi che svolgono questa funzione, sono in piena crisi, godono di ampio discredito.

Cosa quindi può essere successo?

Di fronte a questa a crisi perdurante e che dovrà avere uno sbocco gli Stati sono stati indotti a ricercare nuovo forme di controllo sociale. Non bisogna pensare ad una sorta di cupola che tira i fili dei rapporti sociali, la quale si è riunita in segreto e i suoi membri si sono detti: “Questo virus è un'ottima occasione per rinchiudere la gente in casa in modo da poter controllare tutti facilmente”. Si tratta di “innovazioni” nelle tecniche di dominio che si possono affermare nella prassi delle istituzioni statuali, e di tutte le organizzazioni, media, scuola, che servono alla classe dominante per conservare il suo dominio, senza che vi sia piano o piena consapevolezza di quello che si fa. “Non sanno di far ciò ma lo fanno” (ripeteva spesso Lukács nella sua “Ontologia dell'essere sociale”). L'“innovazione” è partita dalla Cina ma secondo le dinamiche allo stesso tempo conflittuali e mimetiche che intercorrono tra gli Stati, l'innovazione è stata presto adottata anche dagli altri Stati. È in questo modo che si è formato lo Stato moderno secondo la “sociologia storica” di Charles Tilly e altri che riassumeva tutta una riflessione che vi è stata nel dopoguerra nel mondo culturale, soprattutto accademico, anglosassone. Ad es. lo Stato francese in seguito alla rivoluzione introdusse la “leva di massa”, poiché questa innovazione conferiva una potenza superiore allo Stato francese, esso è stato imitato nel corso del tempo da tutti gli Stati, fino a che la leva di massa è stata costitutiva di ogni stato fino alla fine del secolo scorso, entrando poi in crisi con l'illusoria egemonia definitiva dell'Occidente. (Per i dettagli in merito a tale teoria delle trasformazioni statuali rimando al mio libro “Per un nuovo socialismo” consultabile su www.gennaroscala.it)

Secondo Massimo Cacciari, notevole filosofo anche se dalle discutibili scelte politiche è “in corso un colossale esperimento di come si potrebbe organizzare la vita in tantissimi settori in futuro: 'Lavoro a distanza, scuola a distanza, tutti distanti e tutti insieme davanti allo schermo del computer'”. Per quanto tali affermazioni possono avere un risvolto complottista, esse fanno pensare. Non vi è nessuno come singolo o anche singolo gruppo in grado di fare esperimenti sociali, ma le classi dominanti che dirigono i sistemi sociali sperimentano eccome, ed introducono “innovazioni”, le quali non sempre sono “progresso” perché “nuove”, talora possono essere molto spiacevoli.
L'obiezione principale all'ipotesi che possa essere stato un processo indotto dalle classi dominanti riguarda i devastanti effetti economici delle misure anti-covid. Quale interesse avrebbero le classi dominanti ad autodistruggersi il sistema economico?
Questa osservazione però pecca di economicismo. Alle classi dominanti interessa soprattutto conservare il ruolo dominante, e di fronte ad una crisi di sistema che da tempo sta provocando impoverimento, se la necessità imporrà di “superare la società dei consumi”, ovvero si accelererà il processo di impoverimento, esse cercheranno di conservare il loro ruolo anche in tali condizioni.

La “società digitale” ha ulteriormente approfondito il processo di individualizzazione che ha caratterizzato l'Occidente. Pensiamo alla comunicazione interpersonale monopolizzata dai social, dei quali non si può fare a meno se non si vuole essere tagliati fuori dalla comunicazione sociale. Questo processo ha visto già visto crisi in cui le società si presentano fortemente disgregate. La disgregazione sociale, secondo la Scuola di Francoforte, Hannah Arendt, fu all'origine della nascita dei totalitarismi, un processo che non riguardava la sola Germania nazista o l'Unione Sovietica, ma l'intero occidente.

Il “distanziamento sociale” è una “novità” sorta dalla gestione del covid-19, esso non potrà che aumentare la disgregazione sociale, l'isolamento e l'emarginazione sociale e quindi creare le condizioni in cui potrebbero sorgere nuovi totalitarismi, come sempre, in forme inaspettate.

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{ prima pubblicazione del post su FB, il 5 settembre 2020 [1]; su VK : [2] }.

Note

All'art. 16 [3] della Costituzione italiana si paventa una restrizione della libertà di movimento per ragioni sanitarie, tuttavia lo ''stato di emergenza'' sanitario non viene definito.
Si fa cenno allo stato di emergenza per ragioni belliche, lo ''stato di guerra'', all'art. 78 [4].

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