Testata

L'India, l'elefante e me




Copertina dell'edizione brossurata Rizzoli che ho acquistato a prezzo scontato, collana 24/7 stranger – prima stampa del 2008.


C'erano una volta cinque ciechi che decisero di capire com'era fatto un elefante. Si fecero portare dunque dall'animale e cominciarono, ciascuno per suo conto, a esplorarlo. Il primo, afferrando la proboscide, disse: «Ah, ho capito, l'elefante è come un serpente!» Il secondo, che invece aveva toccato il corpo dell'animale, disse: «Ma no, è come un muro!» Ma il terzo, impugnando una zanna, protestò: «Sbagliate tutti e due, l'elefante è un palo!». Al che gli ultimi due, uno aggrappato alla coda, l'altro alla zampa della bestia, gridarono: «No, l'elefante è come una corda!» e «L'elefante è una colonna!» E così cominciarono a discutere, e andarono avanti, senza riuscire a mettersi d'accordo sulla natura dell'elefante.
pag. 99


1

Circa 10 anni fa, Giancarlo De Cataldo – magistrato e autore di “Romanzo criminale” [ 1 ] con il quale fece il botto – intraprese un viaggio in India assieme a moglie e figlio.

Questo cartaceo [ 2 ] è il resoconto di quell'esperienza : il contatto con una realtà contrastata, in parte accattona, miserabile, malamente coperta dalla facciata di un turismo di massa concertato da molti autoctoni per spillare quanti più soldi ai turisti occidentali, con l'eccezione di alcune guide e autisti onesti che il gruppetto trova e sceglie lungo la strada.
In parte elitaria, benestante e colta.
Un sub-continente che sviluppò una civiltà rigogliosa ed imperiale, più antica della nostra e apparentata – siamo detti indo-europei [ 3 ] – poi caduta in disgrazia ben prima della dominazione britannica, con il colpo di grazia infertole dal fondamentalista islamico Aurangzeb, l'ultimo “grande” dei Gran Moghul che mise a ferro-e-fuoco il subcontinente per convertire gli infedeli del Deccan, la parte peninsulare.
Una parabola simile a quella italiana presente, progressiva nella Storia degli ultimi secoli. 

2

L'India.

Ricordo una scena che mi raccontò la moglie di un amico, qualche anno fa, vista durante il loro viaggio in India : erano ad una stazione dei treni assai affollata – come qualunque luogo pubblico in un Paese con 1,3+ G di popolazione in crescita irrisolvibile [ 4 ] – e gli autoctoni premevano e spingevano per riuscire a comprare un biglietto per gli affollati mezzi pubblici indiani, fino alle risse che scoppiavano con intermittenza e disgustavano gli osservatori.
Ogni tanto, un corpulento poliziotto interveniva menando qualcosa come uno scudiscio sugli indisciplinati, che sotto i colpi si separavano e si chetavano per qualche minuto, poi riprendevano a spintonarsi fino a che la repressione veniva di nuovo agita.

Ma noi “italiani” del tempo presente, siamo diversi da loro ?

Per avere una risposta, è sufficiente fare un salto ad un ufficio pubblico, 15 – 20 minuti prima dell'ora di apertura : c'è già gente, disposta rigorosamente a random ( a caso ) sul marciapiede, non in logica e razionale fila indiana – il termine è derivato dal modo di spostarsi degli altri indiani, gli abitanti dell'America Settentrionale malintesi e di conseguenza così definiti dai conquistatori europei [ 5 ] – e al massimo, si può chiedere “chi è l'ultimo ?”, ma senza troppa speranza di ricevere una risposta utile e soprattutto univoca.
Guai a comporre una fila ordinata.
E' un ragionamento troppo avanti per gli “italiani”.
E l'idea di installare un semplice cordone che obblighi i cittadini a disporsi in ordinata e razionale fila, diciamo mezz'ora prima dell'apertura degli uffici ed almeno nei giorni particolarmente frequentati, pare essere lontana anni luce dai cervelli dei dirigenti.
All'apertura di un ufficio, ho assistito a scene vergognose : muggiti e minacce fino agli insulti, spintonamenti, alterchi, quasi-risse per stare davanti a qualcun altro.

E ricordo un'inchiesta televisiva sui tassisti romani che regolarmente truffavano i turisti, specialmente quelli orientali, chiedendo loro cifre esorbitanti per lo spostamento da e per l'aereoporto di Fiumicino. Pratica usata anche nei ristoranti [ 6 ... ].

Eccetera.

In fondo, siamo davvero diversi da loro ?

{ non riusciamo proprio a toglierci il vizio di questi pessimi comportamenti levantini }.

E ho sorriso alla constatazione che in India, spesso, coloro che si occupano degli ultimi – che siano dalit cioè “gli intoccabili” ( secondo la definizione data dagli inglesi che dominarono ) oppure appartenenti ad altre caste ma decaduti – appartengono alla casta più alta, quella dei brahmani ( detti comunemente bramini ) [ 7 ] :



Breaking News – Donne

[ ... ]


Ebbene: non te l'aspetteresti da una persona così di successo, ma l'analisi [ di lady Shobhaa Dé ] sul ruolo della donna e sulla paura degli uomini è sovrapponibile a quella della femministissima Urvashi [ ... ].
«Posso parlare per diretta esperienza» mi spiega, «perché la mia è stata una famiglia assolutamente democratica, da sempre. Mio padre ha garantito parità di istruzione, opportunità, dignità a tutti i suoi figli, maschi e femmine, senza differenze, senza preferenze. Così ho potuto farmi strada nella vita senza pagare nessun prezzo alla diversità sessuale. By the way, apparteniamo ad un'illustre casta brahmana, ma questo non ha influito in alcun modo sulla mia vita e sulle mie scelte...»
By the way, appunto.

pag. 86


Come non pensare ai radical chic “italiani” e occidentali [ 8 ] che nell'ostentazione del credo nell'uguaglianza universale sono ben più ipocriti di chi non cela la propria appartenenza ad un ordinamento sociale pluri-millenario e castale ?
La crescita dello strato di popolazione più umile non si risolve in breve con la re-distribuzione della ricchezza – attraverso la trasmissione di centesimi di carità a distanza variabile, a chetare il malanimo cioè il senso di colpa di tanti buonisti  – ma occorre formare culturalmente la massa ed irrobustirne il senso di appartenenza incardinato a diritti e doveri.
Occorre un laboratorio promosso da una élite sinceramente filantropica e volenterosa, che abbia l'intenzione di usare concretamente il Potere sul territorio e a tale scopo : l'esercizio dell'impèrio che nell'Europa Occidentale al crepuscolo è stato aborrito nel nome di una “democrazia” prostituita al soldo di chi ha il salvadanaio più grosso, che persegue strade sotterranee contro i Popoli europei e i cui risultati sono evidenti.
{ altroché gli spot di Bono e Madonna ... stiamo assistendo al genocidio culturale europeo in atto }.


impèrio

impèrio s. m. [dal lat. imperium]. – Forma letter. per impero, usata soprattutto per indicare – con riferimento alla storia romana – il sommo potere delle più alte autorità militari o anche civili, e più genericam. l’autorità, il dominio, la supremazia di chi comanda, anche in senso fig.: fossero sottoposti all’i. della Verità (Leopardi); oppure il comando stesso in quanto viene esercitato, o l’atto del comandare: il concitato imperio, E il celere ubbidir (Manzoni); la pratica della navigazione, l’abitudine dell’i., l’esperimento della propria autorità (D’Annunzio); più raram., ordine imperioso: Goffredo lor manda il buon Sigiero, De’ gravi imperii suoi nunzio severo (T. Tasso). Nel linguaggio econ., prezzi d’i., quelli fissati e imposti dall’autorità, in contrapp. ai prezzi che liberamente si formano sul mercato.

Treccani


3

Torno al viaggio trascritto.


L'India descritta da De Cataldo appare come un corpo enorme, contraddittorio e reattivo, in continuo cambiamento tanto da ridicolizzare più volte le informazioni date dall'ultima edizione della guida Lonely Planet [ 9 ] : ad esempio, appena i commercianti di un bazar vengono a sapere che un loro concorrente è stato citato dalla suddetta guida, cambiano il nome dell'attività in quello diventato famoso, facendo smarrire il viaggiatore.

Il testo è piuttosto farraginoso, una raccolta affastellata di appunti cui l'autore sembra faticosamente stringere le viti strada facendo, fino all'acme emozionale del ricordo della figlia deceduta. Ma poi si sfilaccia di nuovo ed irrimediabilmente.
Lo stile è decisamente brutto : non è il brutto letterario ch'è costruito e ricercato, al fine di un maggiore realismo ( coerenza tra forma linguistica e materia descritta ). E' un linguaggio italiano da pratica burocratica, un verbale trascritto da un poliziotto svogliato, anzi di umore persino avverso alla mansione d'ufficio.
Mi piacerebbe scrivere che questo difetto si “dimentica” strada facendo, grazie alla progressione del rapporto dell'autore con l'India : tutt'altro che lineare, tutt'altro che armonioso, fatto di tanti inciampi, rifiuti e ripensamenti, che – come ho espresso poco sopra – faticosamente sembra divenire percorso a ritroso ( interiore ) fuori dalla retorica di maniera. L'esperienza umana di un occidentale razionale e laicista che approccia una realtà umana diversa, assai mistica e non lineare.
Ma è davvero insopportabile.
In particolare, sono sgradevoli le citazioni intercalate dei caratteri culturali dell'India, che hanno la freddezza nozionistica delle pagine wikipediane, disarmoniche con il resto del testo.
Capitoli dal titolo composto con l'espressione anglosassone “Breaking News” ( vedi citazione soprastante ) : non necessaria anzi sbagliata, siccome le breaking news dei notiziari anglosassoni sono le notizie dell'ultim'ora, le straordinarie, letteralmente le “notizie che spaccano” ... ed invece introducono fatti noti.
Espressione fastidiosa, da burino che ci tiene a far sapere al mondo la sua ( presunta ) padronanza della lingua inglese.

Che tristezza.

“L'India, l'elefante e me” non scorre, e non matura come romanzo di viaggio.

Rimane una lista di note sul taccuino.
Un canovaccio appena bozzettato, palesemente bisognoso di un bravo editor che, forse, nemmeno è stato interpellato.
Ed è un peccato, siccome degli spunti utili per tessere un buon testo letterario ce n'erano e sono stati anche citati nella stessa opera, come il viaggio dell'eroe :


Bollywood Party

[ ... ] A metà degli anni Settanta, a Los Angeles, una nutrita pattuglia di attori, sceneggiatori e produttori frequentava i seminari di Joseph Campbell. Americano di buona famiglia, Campbell girò il mondo per anni catalogando miti, sino a formulare, nella sua opera più famosa, L'eroe dai mille volti, una sorta di teoria universale del «monomito»: tutti i racconti che affondano radici nella notte dell'umanità, sostiene Campbell, rispondono a un unico schema, che viene definito il «viaggio dell'eroe».
Al centro di ogni narrazione, da Gilgamesh sino a Joyce e Thomas Mann, passando per il Mahabharata, l'Odissea e la Divina Commedia, Shakespeare e Goethe, c'è un eroe al quale viene affidata una missione da compiere. L'eroe, dapprima reticente, finisce poi per accettare la «chiamata», e compie inaudite imprese, aiutato da mentori e alleati, osteggiato da una pluralità di antagonisti, sino a che l'impresa non è portata a termine. Strada facendo, peraltro, l'eroe sperimenta la Morte, sotto forma di Discesa agli Inferi, e ne riemerge rafforzato, sì, ma anche arricchito dalla consapevolezza dei propri limiti.

[ ... ]

pagg. 190 – 1


Credo abbiate già capito.
L'eroe de “L'India, l'elefante e me” sarebbe potuto e dovuto essere lo stesso autore, che nella prima parte del viaggio trascritto si è riconciliato con la famiglia : la primogenita Francesca nata con gravissimi problemi e deceduta qualche tempo prima, il figlio adolescente in rapporto fisiologicamente problematico con l'autorità paterna, la moglie avvocato.
Ma De Cataldo non ha voluto scendere troppo dentro sé stesso – e questo, come lettore, non glielo perdono – con l'eccezione di un'esperienza mistica ed impressiva, emozionante, vissuta a Varanasi ( nota anche come Benares ) [ 10 ] la Città dei Morti indiana :


La ferita

Se hai un dolore, da qualche parte nel tuo profondo, Varanasi te lo riporterà alla luce. E ti sembrerà di riviverlo, così crudo e reale, così vivo e insopportabile, come la prima volta, tanto tempo fa.
A me è successo una sera di gennaio. Il tramonto inonda del suo buio concreto le acque ferme della Ganga. La barca scivola quieta e circospetta verso il Manikarnika Ghat, dove una piccola folla si è radunata per dare l'estremo saluto a un fortunato che sta per trovare, morendo a Varanasi, la sua moksha, la liberazione dal ciclo delle reincarnazioni. Piccole fiammelle – sono le puja accese dai fedeli – si aprono un incerto cammino fra le onde sollevate dalle imbarcazioni dei turisti. L'ormai noto acre tanfo della legna bruciata comincia a diffondersi. E' il segnale inconfondibile della cremazione, è l'odore più profondo dell'India.
E' allora che accade. Assume la forma di un'ombra più scura del nero della notte, è una figura che mi sfiora, leggera, e affonda le sue mani impalpabili direttamente nel mio cuore.
Marco dev'essersene accorto, perché mi sussurra, piano: «Sai, c'è un motivo per il quale le donne e i bambini non sono ammessi alla cremazione. Non si tratta di razzismo o altro. La cremazione è una cerimonia dura. Le donne possono commuoversi, e così i bambini. Piangono. Le lacrime, impure, guastano la cerimonia. Per questo li tengono lontani...»

[ ... ]

A Benares, sulla Ganga [ nome locale del Gange ] al tramonto, lei c'è stata. Lei. La ferita. Francesca.

[ ... ]

pagg. 141 – 2


Tuttavia ...
è sensato, il pretendere lo smarrimento del viaggiatore – assoluto e senza rete di protezione – da un uomo che performa un ruolo sociale importante nella città in cui abitualmente vive, giudice della Corte di Assise di Appello a Roma [ 11 ] ?
E' possibile pretendere un rapporto erotico con la terra nuova – e le creature che la abitano – a un uomo sposato e fedele alla moglie, nonché incardinato ai figli ?

Il viaggio è un'impresa seria e per gli scapoli che, oltretutto, hanno poco da perdere.


4

Come detto.
De Cataldo non è il fricchettone occidentale in cerca di sballo ma assomiglia al radical chic in cerca di esperienze etniche da vantare al lounge con gli amici : un sedicente “europeo” “laico” che approccia una realtà umana diversa e non lineare. Benestante, che d'abitudine – non celata né dissimulata, di questo gliene dò atto – soggiorna in alberghi di lusso.
Spassosa è l'ombra di Madonna ( Ciccone, la cantante e performer italo-americana ) citata lungo le pagine, siccome soggiornante in India nelle stesse settimane di permanenza dell'autore. Echi di divismi malsopportati che giungono dai mass-media locali, ed un contatto rifiutato con spocchia nell'ultima sera vissuta al Taj Mahal Palace [ 12 ] di Mumbai ( detta anche Bombay ) [ 13 ] : 500+ € a persona [ 14 ].
Con la spocchia che gli “italiani” “laici” riservano di default ai fenomeni culturali nord-americani – salvo poi usare l'espressione “breaking news” e altre – accessoria e futile siccome non ravvedo significative differenze tra gli atteggiamenti dei due.

La caratteristica non-linearità dell'India – la dimensione della simultaneità che ammicca alla quantistica [ 15 ] – è descritta bene in un prezioso passaggio :


Lost in translation.
Incontri a Delhi


[ ... ]

«Prendi il modo in cui voi occidentali vi nutrite, per esempio. Sedete a tavola, incominciate con l'antipasto, poi passate al primo piatto, poi al piatto forte, quindi scegliete i contorni. Alla fine, vi concedete la frutta e il dolce. Ecco. Noi indiani, invece, abbiamo il thali. Sai di che cosa parlo?»
«Quel grande piatto con dentro tutto: riso, lenticchie, carne, verdure, salsine, chutney...»
«Esatto. Un grande piatto simultaneo. Nel quale puoi scegliere, o non scegliere, allo stesso tempo, tutto. Concentrati sulla simultaneità. Il thali non è solo una pietanza. E' un segnale, un simbolo, una metafora, se preferisci. Immagina che il thali sia il Tempo come noi indiani lo concepiamo. Immagina di avere davanti a te tutti i secoli, simultaneamente. Il nostro senso del Tempo è il senso della Storia, per noi indiani. Né passato né futuro...»
«L'eterno presente, insomma.»
«Neanche quello. Simultaneità. Puoi, devi mescolare tutti i secoli insieme. Nessun secolo finisce e nessuno inizia...»
Oltre a essere un poeta laureato, Ashok Vajpeyi è anche un grande poeta [ ... ].

pagg. 127 – 8


{ è per questa ed altre piccole perle, che conserverò il libro nella mia libreria privata e lo presterò agli amici interessati all'argomento }.

5 – Conclusione

“L'India, l'elefante e me” non è un'opera letteraria compiuta, ma una lista di note sul taccuino che richiede un robusto sforzo di volontà per essere letta dall'inizio alla fine.
A chi è interessato all'argomento India consiglio l'acquisto del libro a metà prezzo, sulle bancarelle dei fondi di magazzino e degli usati ( come ho fatto io, 5 € ).

Di più, non vale.

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3 commenti:

  1. > Con la spocchia che gli “italiani” “laici” riservano di default ai fenomeni culturali nord-americani – salvo poi usare l'espressione “breaking news

    Mio Dio, starei per scrivere "orrore" se non fosse che è pratica così diffusa da avermi abituato al peggio.
    Già, i sinistranti ipocriti... quelli che inneggiavano all'Unione Sovietica e gridavano "Yankeee go home!" e che ora osteggiano tutto ciò che è russo e sono i lacché tirapiedi degli SUA.

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    1. Pure io uso talvolta termini anglosassoni, spesso derivati dal linguaggio informatico, più raramente da quello economico che ha definito convenzioni tecniche e comunicative ( ad esempio, il fottuto spread ).
      In ambito tecnico, ed in generale, la lingua inglese è molto più sintetica di quella italiana, cioè, talvolta, per esprimere il concetto di una sola parola inglese bisogna dilungarsi in una [ perifrasi ] italiana.
      { ed è lo specchio di una inflessione caratteriale tipica }.

      Ma ripeto che nel libro, “breaking news” buttato nei titoli di alcuni capitoli, c'entra proprio nulla ( e, magari, i cavoli a merenda sono buoni ).
      Vuole essere un – ridicolo – “effetto speciale”.
      Ripeto anche che sarebbe stato necessario il lavoro di un bravo editor, che avvertisse – e correggesse – l'autore della bruttura.

      La categoria umana che stigmatizziamo è terribile, costoro credono d'essere i più furbetti di tutti.
      Mi vengono brutti pensieri verso costoro, ed allora è meglio ch'io “cambi canale”.

      ^_____^

      ===

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  2. La ferita è il pensiero della fine, il grande mistero che da sempre caratterizza gli esseri umani, consapevoli della finitezza della loro vita.
    E i tentativi di fornire una risposta alla questione della morte distinguono le religioni tradizionali da quella assai scadente, mediocre, dello "oppio marxista" che, su questo fronte, fallisce miseramente.

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