Il matrimonio nell'Islam
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Da tale matrimonio derivano diritti ed obblighi reciproci. Da una parte si tratta della coabitazione e della reciproca assistenza. Dall'altra parte si tratta della filiazione legittima e del diritto ereditario: la filiazione viene considerata soltanto nei confronti del padre legittimo (niente riconoscimento di paternità od adozione fuori del matrimonio).
Di conseguenza, la prole segue il padre in tutto (religione, cittadinanza, domicilio...).
Bisogna ricordare che, oltre che per la morte reale o legalmente presunta (apostasia), il matrimonio viene sciolto per ripudio (su iniziativa del marito o su richiesta della moglie) o per pronuncia giudiziale. Infatti il marito musulmano ha sempre il potere di decidere unilateralmente lo scioglimento del vincolo matrimoniale e fino a tre volte, nonostante il "detto" attribuito a Maometto che dice: "La cosa lecita che Dio odia di più è proprio il ripudio". Per quanto riguarda il divorzio, le scuole canoniche islamiche riconoscono il diritto per entrambi i coniugi di chiederlo al giudice a causa di una malattia fisica o psichica o nel caso di impotenza antecedente ed insanabile. Da parte sua, la moglie può chiedere il divorzio per mancato pagamento del mantenimento, per allontanamento prolungato del marito (scomparso o condannato alla prigione, ecc.) o per maltrattamento del marito, se ne può dare le prove. Bisogna infine ricordare che, nel caso del ripudio come del divorzio, il marito non ha niente da pagare alla sua ex-moglie (che sia un mantenimento oppure una "pensione").
Subordinazione della donna
Questo riassunto del diritto islamico nelle diverse forme contemporanee dei codici di Statuto Personale si rivela essere la fedele fotografia della struttura della famiglia nelle società musulmane e della visione specifica che l'Islam vi ha sviluppato nei riguardi della donna, del sesso e dei bambini: si tratta dunque di una famiglia "patriarcale" dove il marito esercita tutti i poteri perché deve mantenere tutti, pur avendo la moglie un margine di autonomia. Indiscutibilmente vi è una posizione di priorità o di pre-eccellenza dell'uomo. Certo, l'uomo e la donna sono uguali a titolo teologico, donde gli stessi obblighi nei riguardi del culto e del credo, ma a causa delle loro missioni specifiche nella società si ritrovano in posizioni disuguali in materia di usanze e diritti. Lo dice il Corano: "Gli uomini sono un grado sopra delle donne" (2,228) e "Gli uomini sono superiori alle donne" (4.34).
Perciò la subordinazione della donna nella famiglia islamica sembra palese in tanti capitoli del diritto matrimoniale ed ereditario. La possibilità della poligamia (fino a quattro mogli ad eccezione della Turchia e della Tunisia), anche se viene limitata dalle leggi, non rispetta il principio dell'uguaglianza assoluta tra uomo e donna.
E tale principio viene anche dimenticato, se non rifiutato, nell'esercizio della tutela sulla prole: tranne rare eccezioni, la potestà sui figli è dappertutto esercitata esclusivamente dal padre o, in assenza sua, dalla parentela maschile. La custodia che la madre può esercitare sulla prole, fino ad una certa età, viene controllata da chi è il tutore legale. E questa subordinazione della donna si verifica anche nei vari modi di scioglimento del matrimonio, come è stato detto sopra. Certo la moglie non partecipa al mantenimento della famiglia e rimane totalmente libera nell'amministrare i suoi beni, ma è sotto la stretta dipendenza economica di suo marito per quanto riguarda la vita di famiglia.
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