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E tu sei pecora o cane ?
Album di rottura ( 1977 ) con l'immediato passato e colpo di reni per il rush finale dei Pink Floyd anni '70, che attraverso “the Wall” ( 1979 ) porterà a “the Final cut” ( 1983 ) con lo scioglimento del gruppo per alcuni progetti solisti.
Un'opera di Roger Waters anzitutto, che firma tutti i pezzi da solo - con l'eccezione di “Dogs” assieme a David Gilmour - un'opera di retorica cruda e all'osso sonoro.
Il bassista-cantante-scrittore sente che il gruppo si “sta sedendo” al termine di un decennio strepitoso nel quale ha dato e ricevuto tanto su scala globale, e decide di dare una sterzata brusca alla musica pinkfloydiana : a questo punto della strepitosa carriera, di album come “Wish you were here” ( 1975 ) [ 1 ] ne possono scrivere e suonare decine, per lastricare d'oro la strada che conduce alla vecchiaia anagrafica e al pensionamento artistico ... molti gruppi hanno fatto così.
Bisogna virare per ritrovare tensione musicale e narrativa, questo il diktat imposto ai compagni d'avventura.
A Waters è sufficiente scavare dentro sè stesso ed illuminare quei nodi irrisolti ... infetti ... della sua personalità introversa, che la fama globale e il denaro non hanno ancòra suturato : questo è il primo disco ed insieme il manifesto della trilogia cattiva e rabbiosa ( Animals - the Wall - the Final cut ... come detto ) che autodistruggerà il gruppo ma salverà la vita dell'autoproclamato leader maximo, una sorta di lunga seduta psicanalitica pubblica e in quattro atti multimediali di cui si danno ancòra repliche a rock morto [ 2 ].
2
Apre l'alzata di testa di “Pigs on the wing ( part one )” : come ammettere che c'è qualcosa che non va e si sente nell'aria, non facciamo finta di niente, non facciamo i qualunquisti ...
Se tu non avessi a cuore quello che mi è successo,
e io non facessi altrettanto con te,
cammineremmo a zig-zag attraverso la noia e il dolore
alzando lo sguardo (occasionalmente) attraverso la pioggia.
Chiedendoci a quale pezzo di merda dobbiamo dare la colpa
e stando attenti dai maiali che volano.
Che però viene chiusa ellitticamente dalla seconda e umile parte in coda ( nichilista ) nella quale la voce narrante infine si riconosce “cane” che seppellisce l'osso e nulla chiede di più se non una “cuccia” :
Tu sai che m'importa di quello che ti succede
e io so che t'importa di me.
Per questo non mi sento solo,
e nemmeno il peso del sasso,
ora che ho trovato un posto sicuro
per seppellire il mio osso privato.
E qualsiasi idiota sa che un cane ha bisogno di una casa,
un rifugio dai maiali che volano.
( queste le mie traduzioni scorrette. Se volete invece quelle scolastiche e senz'altro migliori delle mie, nonchè varie info, le trovate in questa pagina del sito di Marcello Mancini : [ 3 ] ).
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Nel mezzo, una violenta accusa alla società inglese ( ma potrei scrivere “occidentale” in genere ) composta da classi sociali metaforizzate con altrettante razze animali ( alla maniera di George Orwell, ma scrivere che il disco è una semplice rivisitazione de "La fattoria degli animali" è una semplificazione forzata ) : cani paranoici e solitari che alimentano il Sistema in un ciclo continuo e cinicamente fottono il proprio simile, controllàti da dirigenti-maiali tra i quali viene citata la famosa - nel Regno Unito - moralista Mary Whitehouse [ 4 ] che per buona parte della sua vita ha rotto i coglioni ai radio- e tele-ascoltatori britannici con i suoi predicozzi ( se avesse chiavato di più dico io ... ma con quella faccia - sinistramente somigliante alla senatrice teodem Paola Binetti - era dura, ammettiamolo ).
Una categoria a parte è quella delle pecore o dei “dormienti mansueti”, che ingenui credono ad un mondo migliore e sognano ... solo che al risveglio nulla potranno veramente, se non rientrare nei giochi ( o continuare ad alienarsi, presumibilmente con distorsori psicotropi di varia natura e genere ).
Come in “the Lamb lies down on Broadway” dei Genesis ( 1974 ) [ 5 ] è la figura biblica dell'agnello sacrificale ad impersonare l'altro, il diverso che in quanto alienato da questa società marcia ( come un Principe Mishkyn ) avrebbe in teoria 1 chance di salvarsi l'anima.
Ma il basso commercio, l'apparenza delle cose e i quattrini non lasciano scampo : guardare in faccia la realtà non serve a nulla ... e si finisce col partecipare al gioco crudele.
Pecore mannare ... ah !
Questo è il pessimismo realista di cui è intriso l'inchiostro del disco.
Che la società tanto l'altroieri ( seconda guerra mondiale : “the Wall” ) come ieri ( le Falkland e tante altre guerre locali : “the Final cut” ) e oggi ( Afghanistan, Iraq ) manda giovani a uccidere-e-morire ed anche giovani padri di famiglia ( come John Waters ) che non performeranno il loro dovere civile.
Altre croci.
E' l'urlo disperato “alla Munch” perchè consapevole d'essere nato sconfitto, ed anche il cantante sul palcoscenico nient'altro è che un altro mattone nel muro e tutto viene ripigliato dalla Macchina, tritato e riciclato ... non si scappa ... le pecore sono cani mannari con una pelliccia in prestito.
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Sugli spartiti Waters procede per sottrazione ( è la prima volta dopo tanta sperimentazione accrescitiva del sound ) a smontare un sound barocco e visionario ch'è diventato il marchio di fabbrica del gruppo ma cui nulla si può più aggiungere.
A farne le spese sono i tappeti di tastiere di Richard Wright e quel climax polleggiato, caratteristico e riempitivo come un confortevole liquido amniotico ch'era la simbiosi tra l'Hammond organ e i violini sintetici ( come nella memorabile “Shine on you crazy diamond” con la quale la band orfana del suo ieratico bassista aprirà i concerti del tour di “A momentary lapse of reason” ).
Tastiere quasi azzerate - a parte un assolo sintetico e lamentoso in “Dogs” ( quasi un muggito doloroso e barocco ) e poc'altro - e il tastierista relegato agli organi vari a volume basso, e al piano elettrico ... non a caso : Waters e Wright si scazzeranno al punto che il secondo lascerà il gruppo dopo “the Wall” per rientrare solo con la reunion del 1987.
Voce nuda in primo piano come mai accaduto - prova generale per le grida disperate da dietro il muro - batteria che non va oltre il compitino, tanta chitarra acustica e quella elettrica di Gilmour che perde un po' l'appoggio abituale delle tastiere ma si produce in assoli memorabili come quello in “Pigs ( three different ones )”.
“Sheep” è il brano musicalmente più equilibrato e rifinito, il resto pare un corpo aperto sul tavolo dell'anatomopatologo, con ossa e muscoli bene in vista.
E' un disco ostico da mandare giù ( e vuole davvero esserlo ) ma utile all'ascoltatore attento - come in poche altre discografie - per osservare da dentro i processi evolutivi di un gruppo storico che cambierà la pelle ma senza vendere l'anima ( come invece hanno fatto Genesis, Yes, Banco, PFM ... e molti altri tra i Settanta e gli Ottanta ) e va associato ai due successivi, dei quali si può dire ch'è lo snello manifesto ideologico.
Rimarchevole lo studio fotografico della copertina ( cui hanno contribuito Waters e Mason ) dove tra le ciminiere di una colossale centrale elettrica anglosassone appare il maialone gonfiabile che diventerà anche un punto fermo dei concerti del gruppo : me lo ricordo lanciato da un lato all'altro dell'arena di Verona, fino a scomparire dietro le quinte nel monumentale set del tour “A momentary lapse of reason” ( credo fosse il 1988 ).
Lo stabilimento è il Battersea Powerstation [ 6 ] che ha fornito il 20% circa del fabbisogno energetico della capitale inglese dal 1939 al 1983 ( anno della dismissione ).
Esiste un progetto avveniristico [ 7 ] di riconversione dell'area industriale che rispetta la caratteristica struttura dalle quattro ciminiere.
In conclusione
E' un cd da avere nella propria collezione e uno degli indispensabili dei Pink e della musica '70 in genere.
altri link
Pink Floyd - scheda in Ondarock.it
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