La nuova opposizione sociale in Italia: potenzialità e criticità tra l'aspirante ceto politico e la ''marmaglia'' di base. di Riccardo Paccosi La Assemblea Nazionale del Fronte del Dissenso, organizzata da Marcia della Liberazione, svoltasi nella giornata di ieri 24 aprile a Roma presso il Circo Massimo e alla quale chi scrive ha partecipato intervenendo, ha offerto un quadro chiarificatore riguardo a quale sia lo stato dell’arte della nuova opposizione sociale in Italia. Tanto per cominciare, l’evento romano ha evidenziato come su questa opposizione pesi ancora una dimensione minoritaria. Il dato quantitativo della partecipazione – un po’ più di mille persone – è stato infatti ritenuto dai più insoddisfacente. D’altro canto, il dato qualitativo è constato invece dell’adesione d’un centinaio tra movimenti politici e associazioni civiche e ha quindi certificato che non solo questa opposizione esiste ed è consolidata, ma anche ch’essa è l’unica opposizione oggi esistente nel paese, l’unica che sta mobilitando le piazze in questi mesi di sospensione d’ogni diritto costituzionale nonché di aumento esponenziale della disoccupazione e della povertà. La dissonanza fra culture politiche distanti, nell’Assemblea, ha risuonato in misura molto ridotta. Ad esempio, si sono palesate alcune posizioni libertarie nel senso che la parola “libertario” ha assunto da alcuni decenni negli Stati Uniti, ovvero visioni di tipo anarco-capitalista che considerano il welfare state l’anticamera della dittatura. Come onestamente affermato dai loro stessi esponenti, però, la convergenza tra queste poche realtà e il resto dell’Assemblea è oggi contrassegnata da transitorietà e delimitazione all’emergenza in atto. Al netto di alcune culture politiche distanti, il dato più positivamente rilevante è constato dell’affiorare, all’interno di questa eterogenea assemblea, di tre denominatori comuni rilevanti e politicamente qualificanti: a) Innanzitutto, l’interpretazione politica dell’emergenza pandemica; tutti gli interventi della giornata, hanno evidenziato come l’emergenza e il suo protrarsi a tempo indeterminato siano la diretta espressione di volontà e interessi politici; in altre parole, mediazioni o punti di contatto tra l’opposizione sociale e quei punti di vista che interpretano l’emergenza pandemica in chiave neutralmente tecnico-sanitaria, non sono più possibili in alcun modo; b) malgrado le differenti priorità d’agenda politica – la perdita di posti di lavoro, la libertà di scelta sulle vaccinazioni, eccetera – tutte le realtà dell’odierna opposizione convergono sulla necessità di difendere e ri-generare il costituzionalismo democratico in contrapposizione all’incombente riconfigurazione in senso neo-assolutista dell’apparato di stato; c) tutte le componenti dell’opposizione sociale esprimono pari autonomia e pari antagonismo rispetto alla destra e alla sinistra storicamente date e nominalmente dette; di conseguenza, il processo costituente della nuova opposizione riguarderà il popolo, la società, l’associazionismo di base e quelle organizzazioni politiche che sono innervate da quel nuovo tipo di attivismo politico – sprezzantemente definito “populista” dalle élite – che si è sviluppato negli ultimi quindici anni; pertanto, suddetto processo non potrà fare altro che escludere tutte le organizzazioni delle attuali destra e sinistra. Al dato promettente dell’emersione di netti e decisivi denominatori comuni, il bilancio dell’evento deve però associare quello assai sconfortante delle defezioni. In poche parole, a rifiutare di presenziare all’iniziativa – quantunque formalmente invitati - sono stati tutti i gruppi e partiti d’opposizione più forti e strutturati, come Italexit, Movimento 3V e Movimento R2020. Immagino che ciascuna organizzazione abbia espresso vari e differenti motivazioni per giustificare il proprio diniego ma io sento di poter ipotizzare, con ampia cognizione di causa, che vi sia stata anche una ben precisa motivazione comune (con riserva sul Movimento 3V con cui a livello territoriale sto esperendo buona collaborazione): il non volersi mescolare, da parte delle organizzazioni più grandi, alle componenti più spontanee e civiche dell’opposizione sociale, in quanto recanti posizioni “no vax” e “no mask” prestanti il fianco, secondo loro, alla stigmatizzazione mediatica e alla conseguente etichettatura di “complottismo” e “negazionismo”. Se così stanno le cose – e, ripeto, ho ragione di credere che stiano almeno in parte così – siamo di fronte a un errore politico esiziale. L’attuale opposizione - deprivata di organizzazioni di massa in grado di far sintesi e con una produzione teorica ancora molto ridotta – oggi non può fare altro che materializzarsi nel modo che vediamo: ovvero recando interpretazioni della realtà che, in non pochi casi, presentano approssimazione, carenza e confusione. Ma questa è l’opposizione sociale oggi esistente nel paese e questa è la sua base sociale, altre non ce ne sono. Le organizzazioni politiche che aspirano a determinare un ceto politico dirigente alternativo all’attuale, dunque, semplicemente non hanno compreso quale sia la loro potenziale base sociale di consenso. Chi si propone di essere punto di riferimento organizzativo dell’opposizione in Italia e di capitalizzare elettoralmente il dissenso, non può fare altro che raccogliere le contraddizioni di classe, le insorgenze sociali che materialmente si attivano e, quindi, provare a fornire a esse indirizzo. Ma se per gli aspiranti dirigenti politici, il sociale materializza espressioni troppo “rozze”, troppo “da marmaglia” per potervisi relazionare, allora vuol dire che questi aspiranti dirigenti sono destinati a non dirigere alcunché. Invece, l'approccio può essere fruttuosamente opposto: nella città in cui risiedo abbiamo recentemente costruito un coordinamento denominato Bologna Costituzionale che ha dimostrato come sia possibile, al contrario, superare le differenze e le diffidenze tra le varie organizzazioni politiche e civiche premurandosi, semplicemente, di mettere in risalto e porre come fondanti i tre comuni denominatori sopra elencati. Inoltre, la paura di essere etichettati come negazionisti dai media mainstream, implica una non comprensione del passaggio di fase, ovvero il non aver interiorizzato come lo stato d’eccezione sia divenuto norma e, più in generale, il non aver colto la fuoriuscita semi-definitiva del nostro sistema sociale dall’alveo della democrazia. Oggi, i media mainstream non sono uno spazio informativo da sedurre e poi tentare di presidiare egemonicamente: essi sono invece divenuti uno strumento di repressione. Pensare di egemonizzare o volgere la narrazione mainstream a proprio favore, ha lo stesso senso che avrebbe avuto negli anni ’20 provare a essere trattati bene dagli squadristi con l’olio di ricino. I media non sono più uno spazio, bensì sono una struttura soggettivamente compatta e integralmente volta alla repressione diretta di ogni forma di opposizione sociale. Quindi, essere definiti complottisti o negazionisti dalle testate mainstream è oggi un prezzo da pagare che può essere scongiurato in un solo modo: non facendo opposizione e abbandonando l’attivismo politico. Dopo questa iniziativa nazionale che ha tracciato il quadro di quale sia la composizione dell’opposizione sociale in Italia, a strettissimo giro se ne svolgerà un’altra completamente diversa, ma per certi aspetti complementare. Con una struttura conferenziale ma al contempo aperta alla pubblica discussione, il sottoscritto, il fotoreporter Giorgio Bianchi, l’economista Ilaria Bifarini, il musicologo Antonello Cresti e altre figure che hanno nell’ultimo anno influentemente espresso un’analisi critica dell’emergenza pandemica, proveranno invece a fare il punto sullo stato dell’arte dell’opposizione sociale dal punto di vista della teoria critica, della produzione culturale e dell’informazione. === --- { prima pubblicazione del post su FB, il 25 aprile 2021 [ 1 ]; su VK : [ 2 ] }. |
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