Testata

C19/N


Corrispondenze Agamben-Leopardi

di Riccardo Paccosi


Oggi, su quodlibet.it, è uscito il nuovo articolo di Giorgio Agamben [1].
Come nel caso dell'apocalittico articolo d'inizio ottobre "Quando la casa brucia", il filosofo pone un problema etico di proporzioni enormi, che si riverbera poi nella politica e nell'analisi del presente. In breve: ha senso opporsi all'Apocalisse? O non occorre, piuttosto, assumere come dato di partenza il suo essersi ormai e quasi del tutto compiuta?
Molti di coloro che si oppongono al totalitarismo nascente, tendono infatti a coltivare speranze di rovesciamento repentino dei rapporti di forza: chi tifando per l'area "anti-global" del capitalismo statunitense incarnata da Trump, chi professando fede in una futura sollevazione popolare di massa.
Questi affidamenti della speranza a un deus ex machina che rovesci il tavolo, appaiono però fragilissimi a fronte di un'analisi dei rapporti di forza reali e, dunque, tradiscono la sempiterna necessità di confortarsi con l'illusione.
Invece, un punto di vista autenticamente volto a far sì che, in futuro, una piccola parte d'umanità elabori rivendicazione autonoma del proprio destino, deve per prima cosa liberarsi da ogni illusione e contemplare ciò che Leopardi chiamava "l'arido vero".
Questo, infatti, è l'unico approccio eticamente rivoluzionario oggi possibile: quello che riesce a tollerare l'angoscia che la nuda verità non può non provocare; quello che rimane saldo dinanzi alla vertigine causata dall'idea che l'umanità, per come la conosciamo, si stia irrimediabilmente estinguendo.
E infatti - chissà se si tratta d'un caso - parimenti leopardiana è la conclusione di Agamben, che colloca la speranza nella possibilità di scorgere una forma di vita umile e più semplice; proprio come il poeta di Recanati scorse il senso della vita - fragile ma tenace - in un fiore sorgente entro uno scenario di natura pietrificata dalla lava...

"Non rimpiangiamo questo mondo che finisce, non abbiamo alcuna nostalgia per l’idea dell’umano e del divino che le onde implacabili del tempo stanno cancellando come un volto di sabbia sul bagnasciuga della storia. Ma con altrettanta decisione rifiutiamo la nuda vita muta e senza volto e la religione della salute che i governi ci propongono. Non aspettiamo né un nuovo dio né un nuovo uomo – cerchiamo piuttosto qui e ora, fra le rovine che ci circondano, un’umile, più semplice forma di vita, che non è un miraggio, perché ne abbiamo memoria e esperienza, anche se, in noi e fuori di noi, avverse potenze la respingono ogni volta nella dimenticanza."

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Note

[1] : ''Sul tempo che viene'', Giorgio Agamben, Quodlibet, 23 novembre 2020, [ https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-sul-tempo-che-viene ].

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{ prima pubblicazione del post su Facebook, il 23 novembre 2020 [ 2 ]; su VK : [ 3 ] }.


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