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Ripropongo la recensione del lungometraggio “La grande bellezza” ( 2013 ) di Paolo Sorrentino ( soggettista, co-sceneggiatore e regista ) [ 1 , 2 ] fresco vincitore dell'Oscar per il Migliore film straniero [ 3 , 4 ] e già in concorso al Festival di Cannes dello scorso anno, scritta da Riccardo Paccosi ( attore, regista e autore di teatro con l'Amorevole Compagnia Pneumatica [ 5 ], blogger ).
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di Riccardo Paccosi
Scrivo due cose su “La grande bellezza”, una sul piano contenutistico (positiva) e una sul piano estetico-formale (negativa).
1) Sul piano del contenuto, il film pone un interrogativo dominante da più di un decennio nelle arti, nella politica e nella filosofia e fornisce una risposta altrettanto diffusa ma, per tutta una serie di motivi, scarsamente razionalizzata.
La domanda è come uscire dalla indeterminazione dell'appena conclusasi epoca detta postmodernismo. E come uscire, parimenti, da quel nichilismo che di tale indeterminazione è il frutto.
Nel dibattito filosofico, un po' tutti concordano sul fatto che il postmodernismo debba necessariamente essere sostituito dal suo opposto, ovvero da una nuova forma di pensiero forte, dall'aspirazione a un nuovo modello di società organica. Quello che non tutti colgono è che questo pensiero forte si stia già materializzando in una confusa, ma allo stesso tempo evidente, riattribuzione di centralità alla sfera spirituale.
In fondo, ne aveva già fatto allusione Tarantino nel suo film più celebre e, trent'anni fa, in un'ottica di opposizione più generale al materialismo, ne raccontò ampiamente Andrei Tarkosvskij (se poi volessimo focalizzarci sulla presenza di tale principio spiritualista nella sfera politica, scaturirebbe un elenco sterminato e avvolgente tutte le costellazioni politiche esistenti).
Venendo al cinema italiano, individuare omologie fra Sorrentino e Garrone è diventato scontato e banale. Ebbene, anche stavolta è purtroppo inevitabile. Esattamente come in “Reality” di Garrone, abbiamo un film in cui la ricerca del senso, dopo una traversata nel Nulla postmoderno, trova il proprio punto d'approdo nell'iconografia spirituale e/o nella ricerca della sfera spirituale.
La scena “sacrificale” della suora che muore sugli scalini della chiesa mette in forma, quindi, quello spirito del tempo che vediamo tracimare in tutte le arti e che, nel cinema, possiamo ritrovare a partire dall'anticipatore “Nostalghia” del già citato Tarkovskij fino alla conclusione cristologica in “Gran Torino” di Clint Eastwood.
Un film che affronta il principale interrogativo filosofico dell'epoca attuale, quindi. Tutto bene, allora? No, perché questo piano di contenuto ambizioso ritengo non sia sostenuto da un esito altrettanto felice sul piano estetico-formale.
2) Se si deve criticare Sorrentino sul piano estetico, va fatta però una considerazione preliminare: il cinema italiano soffre, com'è noto, di un problema di competenze tecniche (grosso modo tutte quelle elencate nel serial tv “Boris”) che lo rendono invendibile all'estero. Sorrentino dà prova di sapersi smarcare da questo azzeramento delle competenze imprimendo su pellicola tutto ciò che il cinema italiano ha da trent'anni dimenticato: l'esistenza della fotografia, il movimento di macchina, la tecnica attoriale.
Il problema è che tutto questo viene realizzato con sfarzo virtuosistico, con frequenti cadute nel manierismo e, come scritto sulla rivista online spietati.it, con una decisa e strategica reinvenzione del barocco.
Ora, davvero il barocco è lo stilema più adatto a sostenere linguisticamente la ricerca spirituale del senso? O si tratta piuttosto di un'incongruenza relazionale tra forma e contenuto?
Se il barocchismo fosse stato delimitato alla pars destruens, ovvero alla rappresentazione del postmodernismo/nichilismo, non ci sarebbe stato nulla da ridire. Ma l'eccesso di virtuosismo formale avvolge tutto, anche l'approdo concettuale del film. Così facendo e restando all'abusata comparazione fra i due, risulta vincente la sobrietà stilistica di Garrone, molto più adatta a raccontare l'iconografia spirituale come punto d'arrivo della ricerca del senso.
Viene da pensare che la riscoperta della tecnica nel cinema italiano, corra il rischio d'incappare in grossi equivoci. Mi viene in mente, per esempio, la follia insensata di Tornatore in “Baària”: ovvero l'idea di rimodellare il neorealismo affindandosi integralmente alle tecniche e agli stilemi degli spot pubblicitari. Sorrentino è lontano da un simile inabissamento del senso: egli si mantiene comunque entro un'elaborazione estetica motivata e autoriale. Ma penso sia grave anche solo il fatto che mi possa essere venuto in mente un paragone del genere. Il rischio è come se fosse dietro l'angolo, in poche parole.
Ciò detto, avendo trovato la per me inusuale spinta motivazionale a scrivere tutto ciò, mi viene da concludere che “La grande bellezza” non possa essere definito un capolavoro a causa dei troppi difetti formali ma che possa, al contempo, essere annoverato tra i migliori film italiani recenti in virtù degli stimoli che offre sul piano del contenuto.
Riccardo Paccosi
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( prima pubblicazione dell'articolo sul wall faccialibresco, mercoledì 5 marzo 2014 : [ 6 ] ).
Immagini dai blog “Carta Bianca” [ 7 ] e “PaperBlog” [ 8 ], e dalla galleria fotografica sul Corriere.it [ 9 ].
( continua )
Oh, Marco.
RispondiEliminaQui leggo una critica interessante e ben fatta. Grazie per averla condivisa.
Poi dovrei iniziare a tirare i miei colpi di clava sul modernismo e sul postmodernismo di plastica liquida, ma non scriverei nulla di nuovo.
Condivido in pieno il giudizio di cui sopra, premettendo che il film non mi è affatto risultato noioso.
RispondiEliminaa suo tempo scrissi ciò
http://darospoaprincipe.blogspot.it/2014/01/italia-dei-miracoli.html
oggi ho letto questo
http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it/2014/03/la-grande-ipocrisia-trionfano-le-larghe.html
e per essere cerchiobottista una volta nella vita, condivido questo
https://www.youtube.com/watch?v=3CfVmRweoBw
@ UUIC : prego !
RispondiElimina@ Borzum : diciamo che il film in questione è un poliedro che necessita di diverse interpretazioni e letture dei vari livelli, dalla produzione ai messaggi insiti, per essere fruito E compreso appieno.
( l'articolo di Sergio Di Cori Modigliani è utile ... anzi, direi fondamentale, ma non è l'unico ).
Questo, secondo il mio parere, accresce senz'altro il valore dell'opera ( un lavoro complesso, che nel Bene e nel Male è parecchio interlacciato con il Paese ).
E il mio interesse in essa : mi sa che la prossima settimana, me l'andrò a vedere ...